"Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali.
La tua benignità non pur soccorreComincia così l'ultimo canto del Paradiso di Dante Alighieri, il sommo Poeta che papa Benedetto XV, nell'enciclica In praeclara summorum (1921), non esitò a definire "il cantore e l'araldo più eloquente del pensiero cristiano".
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate"
La Divina Commedia è, ovviamente, un'opera nata dalla fantasia poetica, ma non per questo manca di utili insegnamenti teologici. Siamo nel XXXIII canto del Paradiso: Dante ha già visto per intero i tre regni ultraterreni (Inferno, Purgatorio e Paradiso). Gli manca un'ultima visione: Dio. San Bernardo, che lo ha accompagnato nell'ultimo tratto del viaggio, rivolge una preghiera alla Vergine perché interceda presso Dio per Dante. La Madonna dà il suo assenso con lo sguardo ("gli occhi da Dio diletti e venerati").
Da qui in poi, per Dante, è impossibile descrivere a pieno la sua visione: essa è andata tanto oltre le facoltà del suo intelletto da aver lasciato una ben labile traccia nella sua memoria. Nella profondità della luce divina Dante dice di aver visto contenuto tutto ciò che è sparso nell'Universo, unito dall'amore divino in un tutto unico: ma le sue parole sono solo una sfocata immagine della sua visione.
Nel fulgore della luce divina gli pare di vedere tre cerchi, di tre colori diversi e di una stessa dimensione, e il secondo appare riflesso dal primo, mentre il terzo è come un un fuoco che emana dai primi due (Dante, con questa immagine, intende raffigurare Dio uno e trino, che è Padre, Figlio generato dal Padre, e Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio).
Ma non è tutto: dentro il secondo cerchio (quello del Figlio) Dante vede dipinta, dello stesso colore dello sfondo, l'immagine umana (raffigurazione poetica dell'Incarnazione del Figlio di Dio che, pur fattosi Uomo, continua ad essere Dio). Dante si sforza di comprendere come ciò sia possibile (non si può dipingere una figura con lo stesso colore dello sfondo), ma il suo ingegno non è capace di comprenderlo, sennonché a un tratto la sua mente è colpita da un bagliore, che finalmente gli permette di penetrare tale mistero.
Alle eccezionali facoltà di Dante qui mancano le forze, ma già il suo desiderio e la sua volontà si sono uniformate a Dio, quell'"amor che move il sole e l'alte stelle".